Dalle contestazioni all’incontro con Bertelli, dalle sfilate alla Coppa America: i retroscena in un libro
L’aria preferita è dalla Tosca, «E lucevan le stelle», sulle cui note talvolta la signora si avventura senza base né pianista, piccoli generosi fuori programma, ormai noti come Miuccia shows, che regala a pochi amici nelle serate più decontratte in cui decide di lasciarsi andare. Timbro buono, voce forse ancora un po’ da educare, ma di sicuro passione sincera e segreta, quella per la musica, della ex ragazza di buona famiglia milanese (il marchio Prada è del 1913) che alle manifestazioni studentesche si ostinava ad andare vestita Saint Laurent, dopo essersi fermata sulle scale di casa per accorciare con ago e filo l’orlo alla gonna e senza che il tutto le impedisse di dare una mano a lavare piatti e pentole dei frugali pasti con i compagni. Così, nel ricordo di Chicco Testa, oggi manager di banca d’affari, allora suo segretario di sezione in via Orti a Milano.
Tutto questo prima di incontrare un altro ragazzo temperamentoso della borghesia aretina, Patrizio Bertelli, famiglia di avvocati e una precoce vocazione imprenditoriale unita a un leggendariamente acceso carattere; molto portato al confronto titanico — nel 2000 quando acquisì Fendi voleva liberarsi dello stilista Karl Lagerfeld per sostituirlo con Nicolas Ghesquière — nonché alla sfuriata fulminea: confermata da lui stesso quella del 1997, alla vigilia dell’inaugurazione del negozio Miu Miu a New York: infastidito perché gli specchi facevano «veramente schifo, ti ingrassano il doppio di quello che sei», Bertelli prese un martello e li demolì uno dopo l’altro.
Facile che tipini così facessero scintille al primo incontro e che poi una volta messisi insieme dessero vita a una coppia parecchio solidale della moda italiana che con lunga cavalcata nel business e nel lusso concettuale è arrivata a un solido marchio di successo internazionale, con 7200 dipendenti «diretti» nel mondo e 15 mila «indiretti» in Italia (lei presidente, lui amministratore delegato). Una coppia basata su un intreccio di creatività e affari che incrocia non solo la storia del made in Italy, ma che ormai «sfugge a una pura definizione modaiola, perché il marchio grazie a una potente immagine costruita anche su altre galassie, ha dato il la a un autentico fenomeno di costume », come scrive Gian Luigi Paracchini, giornalista del Corriere della Sera e scrittore («People», racconti di paesi affascinanti), che ha dedicato all’avventura del duo una storia di oltre duecento pagine, «Vita Prada», Baldini Castoldi Dalai editore in uscita domani, in cui si raccontano tutti gli episodi, inediti, di cui sopra, per stupire persino chi di Prada-Bertelli credeva di sapere già molto. C’è riuscito, Paracchini, dopo una consuetudine cominciata nel 1997, osservando e annotando scene e retroscena del sodalizio.
Con il focoso Bertelli, negli anni, c’è stata anche una furiosa litigata; lei, timida ma spiritosa, quando ha letto il libro ha commentato «penso di essere meno stronza di come mi ha descritto, ma in fondo mi sono divertita ». E chissà se alla signora era dispiaciuto di più l’accenno che Paracchini fa alla sua idea di sessualità in controtendenza basata «sulla tipologia racchiesca »; o al racconto dell’aria quasi mistica che aleggia nell’attesa del mitico saluto dopo- sfilata che fuggevolmente dura 4 secondi.
Una coppia con il jolly, li definisce Paracchini, sfiorata da qualche pettegolezzo, «un gruppo straordinariamente forte e redditizio ma anche straordinariamente indebitato secondo le contraddizioni del rutilante mondo della moda ». Due borghesi ambiziosi ma anche parecchio dispettosi e ben decisi a stare a modo loro dentro il sistema. Consapevole, Miuccia, che «son solo vestitini», ma quasi a disagio per l’obbligo di coniugare questo mestiere frivolo con il suo passato di femminista e contestatrice: alla fine però, racconta lei stessa a Paracchini, quasi con sollievo liberata da questo senso di colpa e arresa all’idea che la moda è molto più seria di quanto si possa pensare. Ed ecco che dal bisogno quasi catartico di fare stile andando sempre oltre, la coppia ha prodotto il rapporto separato ma molto ben coltivato con l’arte, nella Fondazione diretta dal critico Germano Celant. E dalla voglia di riconciliarsi con le giovanili curiosità di entrambi verso l’innovazione ne è scaturita la serie contemporanea di negozi nel mondo basati su un’idea del lusso che porta Prada-Bertelli a coltivare l’estremo paradosso: «Il lusso è sprecare spazio, il lusso è non fare shopping» .
Tutto questo prima di incontrare un altro ragazzo temperamentoso della borghesia aretina, Patrizio Bertelli, famiglia di avvocati e una precoce vocazione imprenditoriale unita a un leggendariamente acceso carattere; molto portato al confronto titanico — nel 2000 quando acquisì Fendi voleva liberarsi dello stilista Karl Lagerfeld per sostituirlo con Nicolas Ghesquière — nonché alla sfuriata fulminea: confermata da lui stesso quella del 1997, alla vigilia dell’inaugurazione del negozio Miu Miu a New York: infastidito perché gli specchi facevano «veramente schifo, ti ingrassano il doppio di quello che sei», Bertelli prese un martello e li demolì uno dopo l’altro.
Facile che tipini così facessero scintille al primo incontro e che poi una volta messisi insieme dessero vita a una coppia parecchio solidale della moda italiana che con lunga cavalcata nel business e nel lusso concettuale è arrivata a un solido marchio di successo internazionale, con 7200 dipendenti «diretti» nel mondo e 15 mila «indiretti» in Italia (lei presidente, lui amministratore delegato). Una coppia basata su un intreccio di creatività e affari che incrocia non solo la storia del made in Italy, ma che ormai «sfugge a una pura definizione modaiola, perché il marchio grazie a una potente immagine costruita anche su altre galassie, ha dato il la a un autentico fenomeno di costume », come scrive Gian Luigi Paracchini, giornalista del Corriere della Sera e scrittore («People», racconti di paesi affascinanti), che ha dedicato all’avventura del duo una storia di oltre duecento pagine, «Vita Prada», Baldini Castoldi Dalai editore in uscita domani, in cui si raccontano tutti gli episodi, inediti, di cui sopra, per stupire persino chi di Prada-Bertelli credeva di sapere già molto. C’è riuscito, Paracchini, dopo una consuetudine cominciata nel 1997, osservando e annotando scene e retroscena del sodalizio.
Con il focoso Bertelli, negli anni, c’è stata anche una furiosa litigata; lei, timida ma spiritosa, quando ha letto il libro ha commentato «penso di essere meno stronza di come mi ha descritto, ma in fondo mi sono divertita ». E chissà se alla signora era dispiaciuto di più l’accenno che Paracchini fa alla sua idea di sessualità in controtendenza basata «sulla tipologia racchiesca »; o al racconto dell’aria quasi mistica che aleggia nell’attesa del mitico saluto dopo- sfilata che fuggevolmente dura 4 secondi.
Una coppia con il jolly, li definisce Paracchini, sfiorata da qualche pettegolezzo, «un gruppo straordinariamente forte e redditizio ma anche straordinariamente indebitato secondo le contraddizioni del rutilante mondo della moda ». Due borghesi ambiziosi ma anche parecchio dispettosi e ben decisi a stare a modo loro dentro il sistema. Consapevole, Miuccia, che «son solo vestitini», ma quasi a disagio per l’obbligo di coniugare questo mestiere frivolo con il suo passato di femminista e contestatrice: alla fine però, racconta lei stessa a Paracchini, quasi con sollievo liberata da questo senso di colpa e arresa all’idea che la moda è molto più seria di quanto si possa pensare. Ed ecco che dal bisogno quasi catartico di fare stile andando sempre oltre, la coppia ha prodotto il rapporto separato ma molto ben coltivato con l’arte, nella Fondazione diretta dal critico Germano Celant. E dalla voglia di riconciliarsi con le giovanili curiosità di entrambi verso l’innovazione ne è scaturita la serie contemporanea di negozi nel mondo basati su un’idea del lusso che porta Prada-Bertelli a coltivare l’estremo paradosso: «Il lusso è sprecare spazio, il lusso è non fare shopping» .
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